In questa IV Domenica di Quaresima la Parola di Dio sembra dirci che siamo chiamati a fare esperienza della vera Luce, che entra dalle fessure della nostra fragilità umana.
Dalla prima lettura emerge già l’opzione preferenziale di Dio: l’attenzione ricade su chi è considerato un “nulla” agli occhi della gente.
L’unzione di Davide è collegata all’unzione che il Gesù fa al cieco nato! Il testo greco del vangelo traduce quel gesto di Gesù con il verbo “ungere” e non “spalmare” come possiamo ritrovare nella traduzione CEI 2008.
Questo per dirci che il Signore ci visita con la sua Grazia proprio là dove c’è una mancanza: nella prima lettura Davide era “il più piccolo” della famiglia, eppure Dio consacra proprio lui. Nel vangelo Gesù unge gli occhi di questo mendicante, visitandolo e toccandolo proprio nella sua sofferenza più grande: gli occhi.
Il gesto che fa Gesù è un atto creazionale: dalla terra crea! Una volta che questo uomo viene visitato dalla grazia è inviato a immergersi nella piscina di Sìloe. Da quel momento quell’uomo è chiamato a difendere quella Luce che tutti cercheranno di contrastare, giungendo così a professare la sua fede in Cristo.
Proprio la professione di fede sarà la vera guarigione di questo cieco: un uomo rassegnato alla vita che acquista la vista degli occhi ma anche della fede stessa.
Anche noi, come quel cieco, siamo visitati dalla grazia di Dio: una grazia che penetra nelle nostre ferite, che tocca e lenisce le piaghe della nostra sofferenza, ma questo può avvenire soltanto se noi siamo disponibili a ricevere questa grazia. Dio non forza la porta, ma è fuori e bussa con delicatezza!
I veri ciechi di questo vangelo sono proprio i Farisei, che hanno la vista offuscata dalla rigidità della legge. Anche noi possiamo vivere la tentazione di rispondere come i farisei “Noi vediamo”, noi abbiamo la verità in mano, da noi dipende tutto.
San Paolo nella seconda lettura invece ci esorta a svegliarci dal sonno, uscire quindi dalla nostra cecità per vivere nella Luce vera che solo Dio ci può far sperimentare.
don Mattia Miggiano